Pubblicità ed Etica - Il caso Balenciaga
Caso Balenciaga: i social si scatenano! Ma non è la prima campagna pubblicitaria a fare clamore…
Il recente scandalo che si è abbattuto sul brand spagnolo della moda impone una, seppur minima, riflessione. Le polemiche sono sorte all’uscita della campagna natalizia di Balenciaga, denominata, “Gift Shop”. Le foto rappresentavano bambini circondati da orsacchiotti di peluche in stile fetish, oggetti bondage, nonché calici di vino e altre cose non certo ascrivibili al mondo infantile. Sui social si è scatenato l’inferno: le immagini sono state definite disturbanti, al limite della pedopornografia. Il direttore artistico di Balenciaga Demna Gvasalia ha dovuto fare dietro-front. Campagna ritirata e pubbliche scuse nelle quali si assume tutte le responsabilità del caso.
Fotografo della campagna era l’italiano Gabriele Galimberti, in breve raggiunto anch’egli dalla bufera scatenata in casa Balenciaga. Galimberti ha replicato “Il mio ruolo sul set non era decidere la linea stilistica del brand: ero il fotografo, e basta”.
Sicuramente le cose stanno come dice Galimberti. Ma è un dato di fatto che la sua risposta non è stata sufficiente a placare l’indignazione.
La riflessione, a nostro avviso, deve partire da qui.
Facciamo allora un passo indietro, al 1991 e alla campagna “United colors of Benetton” firmata da un altro mostro sacro della fotografia, Oliviero Toscani, in cui si vedevano un prete e una suora che si baciavano. Anche quella campagna suscitò uno scandalo mediatico, e il nome di Toscani venne inevitabilmente trascinato nella tempesta. Ma non fu così per i modelli che posarono per quella foto. Perchè, semplicemente, non erano star famose. Nessuno probabilmente ha mai neanche saputo i loro nomi. Nessuna responsabilità venne mai attribuita loro.
Ora, la domanda sorge spontanea: se Toscani avesse scelto fotomodelli famosi, credete che le cose sarebbero andate allo stesso modo? Non credete che, in quel caso, anche i modelli sarebbero stati trascinati nello scandalo assieme a Toscani? Insomma, più un personaggio è in vista, più aumentano le sue responsabilità. Questo è innegabile.
Tornando ai giorni nostri, se Balenciaga avesse ingaggiato un fotografo sconosciuto che, giustamente “non decideva la linea stilistica del brand”, probabilmente nessuno lo avrebbe mai tirato in ballo, limitando le invettive contro Demna Gvasalia. Ma il brand ha scelto volutamente un fotografo famoso (peraltro venuto alla ribalta proprio per questo stile di fotografare bambini circondati da oggetti, in quel caso giocattoli), che ha accettato e, presumiamo, si è fatto pagare. Non sappiamo quanto, ma sicuramente assai di più del nostro ipotetico fotografo sconosciuto. Quindi non stupisce che anche a lui si chieda una partecipazione, seppur inferiore a quella di Gvasalia, alle responsabilità dell’accaduto.
Gvasalia almeno si è comportato dignitosamente, ammettendo la sua responsabilità e chiedendo pubblicamente scusa. Galimberti invece ha cercato di prendere le distanze dall’accaduto. Quali saranno le conseguenze di queste diverse scelte per il futuro professionale dei due personaggi, ovviamente non possiamo prevederlo. Ai posteri l’ardua sentenza.
Stupire ad ogni costo
Al di là delle singole responsabilità, quanto accaduto deve farci riflettere sulla deriva immorale della comunicazione pubblicitaria, che altro non è che la foglia di fico dietro cui si nasconde la deriva immorale della produzione capitalista neoliberista. Ormai non c’è morale che tenga: l’unico fine che stabilisce le regole del gioco (ovvero la totale assenza di regole) è il profitto. E per fare profitto bisogna far parlare, e per far parlare bisogna stupire. Ad ogni costo. Si può obiettare, giustamente, la scelta di ritrarre un bambino assieme ad una borsetta (da adulti) che ha la forma di un orsacchiotto di peluche in tenuta sado-maso. Ma che dire della scelta, avvenuta a monte, di produrre quella borsetta? Non può non tornare alla mente un caso, forse uno dei primi in Italia, in cui la comunicazione pubblicitaria venne apertamente criticata quale segnale di una deriva del linguaggio (il caso di allora riguardava uno slogan e non un’immagine) che si presagiva sarebbe presto degenerato. Era il 17 maggio 1973, quando dalle pagine del Corriere un tagliente Pier Paolo Pasolini rifletteva sul nuovo slogan dei Jeans Jesus “Non avrai altro jeans all’infuori di me”. La lucida preveggenza di Pasolini non mancò allora di subodorare quella mutazione di valori che avrebbe portato – parole sue – ad “un mondo inespressivo, senza particolarismi e diversità di culture, perfettamente omologato e acculturato. Di un mondo che a noi, ultimi depositari di una visione molteplice, magmatica, religiosa e razionale della vita, appare come un mondo di morte”.
A 50 anni di distanza, le previsioni di Pasolini, come in tanti altri casi, si sono rivelate tristemente esatte.
La differenza con il caso Balenciaga è che allora il prodotto (i jeans) erano un oggetto normalissimo e senza nessuna connotazione etica. Ciò che si discuteva era solo il modo di pubblicizzarli, lo slogan appunto. Per Balenciaga le cose stanno diversamente, e gli oggetti creati da Gvasalia o chi per esso sono discutibili di per sè. DIfficile che uno spot per un oggetto sadomaso sia realizzato con un linguaggio espressivo pacato, sobrio ed elegante, o no?
Coerenza cercasi
Negli utlimi anni stanno prendendo piede in campo finanziario i cosiddetti indicatori ESG. L’acronimo (sta per Environmental, Social, Governance) indica tre settori per valutare la sostenibilità e la responsabilità nell’operato delle aziende. Si prendono in considerazioni fattori ambientali (impatto ecologico della produzione), sociali (ricaduta delle decisioni aziendali sia verso il territorio esterno, sia verso l’interno della stessa azienda) e di governance (la gestione dell’organizzazione interna, delle cariche sociali etc.). Fa sorridere che da un lato si creino parametri così dettagliati per esprimere una valutazione sulle aziende che ha tanto il sapore di un giudizio etico, e dall’altro si taccia sulla produzione di certi articoli, almeno finché non scoppi uno scandalo, come in questo caso. La ragione è forse più prosaica: anche gli indicatori ESG, in fondo, servono solo per attivare meccanismi finanziari. In realtà l’etica fine a se stessa c’entra ben poco.
Qualcuno forse ricorderà la campagna informativa “Choose one” promossa dai movimenti di genitori statunitensi per sensibilizzare contro la vendita di armi. Nelle immagini si comparava il divieto di vendita di una serie di prodotti per salvaguardare la sicurezza dei bambini (tra cui ad esempio le uova di cioccolato kinder), e la vendita di armi che invece è libera.
Anche questa comunicazione ebbe un forte impatto per il suo stile, e fece parlare di sè, ma forse non verrà ricordata tanto quanto le foto di Galimberti per Balenciaga. Peccato.