Un Pubblico di Protagonisti
Alla prima del docufilm di Ron Howard: i protagonisti sono quelli in platea e non sul maxi-schermo…
Lo scorso luglio, in un cinema di Londra, un certo numero di persone comuni sono state invitate (apparentemente senza motivo) alla prima del nuovo film di Ron Howard “Thirteen lives” (13 vite). Il docufilm racconta il fatto realmente accaduto nel giugno 2018 in Thailandia, quando appunto 13 persone rimasero intrappolate in una grotta e vennero salvate dopo grandi difficoltà da un gruppo di sommozzatori arrivati da tutto il mondo. Fin qui niente di nuovo. Ma nel video messaggio apparso sul grande schermo del cinema di Londra, il regista Ron Howard chiama per nome, uno per uno, tutti coloro che all’epoca postarono sui social messaggi di incoraggiamento e di speranza: le stesse persone sedute in platea, invitate espressamente per essere presenti alla prima, e che il regista ha definito “my dream audience” (il pubblico dei mei sogni). Così, soccorritori e semplici utenti dei social che in quel momento tragico condivisero le stesse speranze, si sono incontrate realmente in un evento davvero speciale. Le reazioni di questo pubblico davvero particolare e le loro interviste sono toccanti.
Ora, i maliziosi penseranno che lo staff di Ron Howard abbia avuto una idea di marketing un po’ audace, e forse abbia strumentalizzato i sentimenti sinceri degli utenti dei social, solo per promuovere il film (prodotto da Metro-Goldwyn-Mayer e distribuito da Amazon prime).
Cosa è accaduto di fatto? Che (forse per la prima volta) in quel cinema di Londra, i protagonisti erano quelli seduti in platea e non quelli sullo schermo (attori che comunque hanno riprodotto con la loro finzione un fatto vero).
Siamo tutti abituati a storie “ispirate a fatti veri”, e forse questo è davvero uno dei più grandi meriti del cinema, ovvero di far conoscere realtà che altrimenti resterebbero anonime. Ma ultimamente accadono cose anche più interessanti. Partendo da “LION” il film che documenta il fenomeno dei bambini che si smarriscono in India (ogni anno si perdono 80.000 bambini) e che grazie ad una “call to action” alla fine del film, ha raccolto donazioni considerevoli da tutto il mondo per supportare le associazioni che cercano di aiutare questi bambini, per arrivare a Clint Eastwood, che ripropone la storia di un gruppo di ragazzi che sventano il dirottamento di un treno, utilizzando invece di attori gli stessi reali protagonisti del fatto di cronaca del 2015 (“Ore 15:17 attacco al treno“).
Al di là degli aspetti nobilissimi delle raccolte fondi, quello su cui qui ci preme riflettere è l’aspetto puramente comunicativo.
Il cinema pare tornare alle origini (e che origini!), se pensiamo che nell’antica Grecia, il teatro classico era uno dei principali strumenti di democrazia, luogo di incontro in cui ci si poteva confrontare su temi sociali. Se la funzione sociale del teatro e del cinema negli ultimi decenni sembrava in declino, forse oggi questi esperimenti ci testimoniano una contro-tendenza interessante (cui, nuovamente, si deve dire, i social network hanno, consapevolmente o meno, contribuito). Ma – e in questo l’operazione di Ron Howard è da manuale – l’altro aspetto che queste narrazioni sembrano voler superare, è la distanza tra il “divo” e la persona comune, tra l’attore strapagato di Hollywood e il cittadino che vive nel quotidiano. Perché? Che il culto delle “celebrità” sia forse in declino? O più probabilmente, che il fenomeno dei social, con la loro rete di relazioni non-verticistica, stia lentamente influenzando anche altri settori della nostra vita?
Uno dei principi base di ogni forma di comunicazione è che prima viene deciso il contenuto del messaggio e dopo viene scelto lo strumento più adatto per veicolare quel messaggio. Ma nel mondo dell’arte, lo sappiamo, a volte accade il contrario: allora può anche essere lo strumento che influenza il contenuto. Certe possibilità tecniche un tempo impensabili, hanno fatto sì che cambiasse lo stesso modo di narrare o di rappresentare.
Ron Howard sicuramente ha saputo cogliere questo “segno dei tempi” regalando a tutti una sana emozione come non se ne vedeva da anni. Un vero “effetto speciale”, stavolta non creato negli studi di post-produzione video, ma direttamente in sala di proiezione.